Alla vigilia della battaglia di Filippi, combattuta nell’ottobre del 42 a.C. contro Bruto e Cassio per vendicare l’uccisione di Giulio Cesare, il giovane Gaio Ottaviano, il futuro imperatore Augusto, fece voto solenne di edificare in caso di vittoria un tempio a Marte Ultore (dal latino Ultor = Vendicatore). Ottaviano era nipote di Giulio Cesare (sua madre, Azia, era figlia di Giulia, sorella di Cesare) e dal 45 a.C. suo figlio adottivo ed erede. Vinta la battaglia e vendicato così Cesare, al proprio ritorno a Roma Ottaviano sciolse il voto e avviò i lavori per la costruzione del tempio, che egli volle inserire in un nuovo Foro, replicando così il modello architettonico creato pochi anni prima con il Foro di Cesare. Il pretesto per la costruzione di un altro Foro fu dato dalla crescita vertiginosa del numero dei processi, per accogliere i quali erano diventati insufficienti il Foro Romano e quello di Cesare, pure inaugurato da poco nel 46 a.C.
Nacque così il secondo dei Fori Imperiali: il Foro di Augusto.
Le preesistenze e gli espropri
L’area prescelta per la costruzione del nuovo Foro fu quella adiacente al Foro di Cesare, verso est, ossia verso la Suburra. Come Giulio Cesare pochi anni prima, anche Ottaviano acquistò personalmente con il bottino di guerra le abitazioni dei privati che vi si trovavano per poterle liberamente demolire e così ottenere lo spazio in cui inserire il complesso: ce lo racconta lui stesso nel proprio testamento-autobiografia (Res Gestae) mentre lo storico Svetonio ricorda come egli volle limitare il più possibile gli espropri ritenendoli una forma di violenza, tanto da trovarsi costretto a realizzare un Foro “un po’ angusto”.
La pianta del Foro
In realtà, il nuovo complesso aveva dimensioni imponenti, con un perimetro complessivo di circa 120 x 120 metri e si articolava intorno a una piazza rettangolare di circa 70 x 50 metri. Nel centro del lato corto orientale era inserito il Tempio di Marte Ultore mentre i lati lunghi erano occupati da portici colonnati. I portici si aprivano, a loro volta, ciascuno su due emicicli del diametro di 40 metri destinati ad accogliere tribunali i due a est (i cui resti sono ancora visibili) e, forse, archivi i due a ovest (non più esistenti).
L’Aula del Colosso
All’estremità orientale del portico settentrionale fu ricavato un vano riccamente decorato che ospitò la statua colossale del Genio di Augusto e che per questo è chiamato con nome moderno “Aula del Colosso”; resti della sua decorazione e della statua sono esposti nel Museo dei Fori Imperiali.
Il lato occidentale del Foro
Non è invece ancora noto come fosse articolato il lato breve opposto al Tempio, a contatto con il Foro di Cesare. Gli scavi recenti hanno escluso l’esistenza di una basilica collocata nel settore occidentale della piazza (ipotesi avanzata in passato da alcuni studiosi) ma non hanno svelato la conformazione di questa parte del complesso. Al momento si può ipotizzare l’esistenza di un terzo portico colonnato simile a quelli sui lati lunghi (come accade nel Foro di Cesare) oppure di un semplice muro, di sicuro riccamente decorato e al centro del quale si doveva aprire un fornice di collegamento con il Foro di Cesare.
Il muraglione verso la Suburra
Sul lato opposto, a est, la situazione era (ed è) invece completamente diversa. L’intero complesso era infatti qui delimitato da un gigantesco muraglione in blocchi di peperino, pietra gabina e travertino, alto fino a 33 metri nel tratto più elevato. Peperino e pietra gabina erano ritenuti ignifughi: l’alta parete era stata infatti realizzata per isolare e proteggere il Foro dalla retrostante Suburra, quartiere popolare e sovraffollato nel quale gli incendi erano frequentissimi a causa della diffusa presenza di strutture in legno. Nel muraglione si aprivano (e si aprono) i due accessi al Foro dalla Suburra, costituiti da un triplice arco a sinistra del Tempio e da un arco monumentale in travertino a destra, chiamato dal XVI secolo “Arco dei Pantani”. Il muraglione di fondo del Foro di Augusto costituisce ancora oggi una delle emergenze monumentali più impressionanti dell’area dei Fori Imperiali, apprezzabile sia sulla fronte da Via dei Fori Imperiali e Via Alessandrina che sul retro, lungo Via di Tor de’ Conti.
Ottaviano diventa l’imperatore Augusto
La costruzione del Foro durò sino al 2 a.C., quando fu inaugurato. Nel frattempo Ottaviano era diventato imperatore, assumendo il titolo di Augusto conferitogli dal Senato il 16 gennaio del 27 a.C. e che significa letteralmente “colui che è degno di onore e venerazione” (non di culto!) ma anche “colui che accresce la ricchezza del proprio popolo”. In questa chiave va letto lo straordinario programma decorativo del Foro.
La cella del Tempio
Il Tempio accoglieva al suo interno le statue colossali di Marte e Venere. La dea era infatti considerata la mitica progenitrice della Gens Iulia, avendo essa generato con Anchise Enea, a sua volta padre di Iulo Ascanio, capostipite della famiglia: Augusto non fece che riproporre in questo modo l’origine divina dei Iulii, come aveva già fatto Giulio Cesare innalzando un Tempio a Venere Genitrice nel proprio Foro. Allo stesso tempo, Marte era presente non solo come vendicatore della morte di Cesare, ma anche come divino progenitore dei Romani, in quanto padre del mitico fondatore e primo re di Roma Romolo, avuto da Rea Silvia, discendente di Enea e di Iulo Ascanio. Le fonti antiche indicano l’esistenza nel Tempio di una terza scultura, raffigurante forse Giulio Cesare divinizzato. Un’ipotesi alternativa ne propone l’identificazione con una statua del Genio di Nerone, voluta dal Senato dopo la vittoria sull’Armenia.
Il frontone del Tempio
Le origini divine della Gens Iulia e, al contempo, di Roma venivano esaltate dalla decorazione del frontone del Tempio. Qui, al centro, giganteggiava la statua colossale di Marte, presentato come un dio aggressivo, seminudo, con la lancia nella destra (allusione alla guerra), una spada rinfoderata nella sinistra (allusione alla fine della guerra e quindi alla pace) e il piede sinistro poggiato sul globo (allusione al mondo e quindi al dominio su di esso).
È facile intuire che nella figura di Marte si poteva (e doveva) riconoscere un evidente riferimento ad Augusto stesso nella sua veste di vendicatore di Cesare, di conquistatore e di pacificatore dell’Impero. Alla destra di Marte tornava Venere, raffigurata con un Amorino sulla spalla come nella statua nel Tempio di Venere Genitrice nel Foro di Cesare. Accanto a Venere erano Romolo e la personificazione del Palatino, ennesimo riferimento ad Augusto, che sul Palatino aveva deciso di abitare. Alla sinistra di Marte erano le statue della Fortuna, della Dea Roma e la personificazione del Tevere. Sugli spigoli laterali del frontone svettavano due figure di Vittorie alate, in bronzo dorato: nel 1932 fu rinvenuto il piede di una di esse, oggi esposto nel Museo dei Fori Imperiali.
I portici
L’aspetto esterno dei portici verso la piazza era caratterizzato dalla presenza di un alto attico, decorato con figure di Cariatidi (copia di quelle dell’Eretteo di Atene) alternate a scudi ornati con teste di Giove Ammone e di altre divinità. Il significato di questa decorazione era evidente ai Romani del tempo: le Cariatidi, giovani donne della regione della Caria (nell’attuale Turchia sud-occidentale) soggiogate dai Greci simboleggiavano le popolazioni dell’Impero sottomesse da Roma e da Augusto. Stesso significato avevano le immagini di divinità sugli scudi. Il preciso riferimento a Giove Ammone, che Alessandro Magno indicava quale proprio divino genitore, alludeva invece e ancora una volta alle origini altrettanto divine di Augusto, che allo stesso tempo si poneva sullo stesso piano del celeberrimo condottiero macedone.
Gli emicicli
L’esaltazione per immagini della figura di Augusto e della sua famiglia continuava negli emicicli dei portici, che, come già ricordato, funzionavano come tribunali. Nell’esedra a nord erano le statue dei re di Albalonga e quelle dei membri più illustri della Gens Iulia. Al centro dell’esedra, in un nicchione, era collocato un gruppo scultoreo raffigurante Enea in fuga da Troia in fiamme, con il padre Anchise sulle spalle e per mano il piccolo Iulo Ascanio.
Nell’esedra opposta erano le statue degli uomini illustri della storia di Roma (summi viri), con iscrizioni che raccontavano le loro imprese; nel nicchione centrale era la statua di Romolo. Anche qui il messaggio era chiaro: i figli rispettivamente di Venere (Enea) e di Marte (Romolo), capostipiti della Gens Iulia e dei Romani stessi, erano posti uno di fronte all’altro, in compagnia dei membri illustri della famiglia di Augusto (la Gens Iulia, appunto) e della storia di Roma, in un intreccio indissolubile tra mito e storia.
Non conosciamo la decorazione delle esedre più a ovest, che probabilmente ospitavano anch’esse tribunali o forse archivi contenenti gli atti dell’intensa attività giuridica svolta nel Foro. Essi andarono distrutti per la costruzione del Foro di Nerva (97 d.C.) quello a sud e per la costruzione del Foro di Traiano (112-113 d.C.) quello a nord.
Ruolo e funzione del Foro di Augusto
Il Foro di Augusto era dunque un immenso tribunale ma, contemporaneamente, costituiva anche una ricchissima galleria di immagini scultoree dei personaggi mitologici e reali della storia di Roma: a partire da Enea, attraverso i re di Albalonga, Romolo e gli uomini illustri (summi viri), per giungere ai ritratti della Gens Iulia. Un filo ininterrotto che legava gli antenati troiani ad Augusto e che esaltava e legittimava la figura dell’imperatore.
Nel Foro si svolgevano anche importanti cerimonie legate alla vita pubblica: qui, infatti, il Senato deliberava e discuteva sulla pace e sulla guerra e accoglieva i principi stranieri. Nel Tempio di Marte si recavano a sacrificare i magistrati prima di raggiungere le province loro assegnate e i generali vittoriosi vi deponevano le proprie insegne. Qui i rampolli delle grandi famiglie, raggiunta la maggiore età, si iscrivevano nelle liste militari. Nelle intenzioni di Augusto il Foro rappresentava quindi una sorta di centro militare, amministrativo e politico dell’Impero, motivo per il quale esso costituì il modello di riferimento per la costruzione dei fori di numerose città del mondo romano.