La necessità di rinnovare le strutture amministrative e giudiziarie più antiche e di adeguarle alla nuova dimensione – fisica e politica – della città di Roma fu il pretesto che Giulio Cesare utilizzò per portare a termine una innovativa e brillante iniziativa di autocelebrazione. Così, in aperta competizione con il suo rivale Gneo Pompeo, che nel 55 a.C. aveva inaugurato il suo splendido teatro in Campo Marzio, nel 54 a.C. Cesare incaricò un gruppo di stretti collaboratori di progettare un nuovo complesso monumentale, la cui costruzione fu giustificata come un necessario ampliamento del Foro Romano.
La topografia
Per costruire la sua piazza Giulio Cesare scelse un’area posta ai piedi del Campidoglio, a ridosso del Foro Romano verso la Suburra, antico quartiere di Roma in cui egli stesso era nato, nella zona dell’attuale Rione Monti. A nord erano la sella tufacea che univa Campidoglio e Quirinale, sulla quale si trovava molto probabilmente l’Atrium Libertatis, l’antico edificio che ospitava l’archivio dei censori che sarà abbattuto insieme alla sella per la costruzione del Foro di Traiano (112-113 d.C.). A sud, infine, passava l’Argiletum, l’antico percorso stradale che conduceva proprio dalla Suburra al Foro Romano e che alla fine del I secolo d.C. sarà monumentalizzato con la costruzione del Foro di Nerva.
Le preesistenze e gli espropri
L’area prescelta non era però libera, ma era occupata da un quartiere fittamente abitato. Dalle fonti letterarie del tempo sappiamo che Cesare in persona acquistò a proprie spese le proprietà private lì esistenti per demolirle e fare così spazio al complesso che intendeva costruire, arrivando a spendere dai sessanta ai cento milioni di sesterzi, una cifra esorbitante considerando che il mantenimento annuale di una legione era pari a dodici milioni di sesterzi. Fu incaricato di seguire gli espropri uno dei più celebri autori latini di sempre: Marco Tullio Cicerone, che ha lasciato nei propri scritti un ricordo di questa sua particolare attività. Gli scavi archeologici effettuati nel 1998-2000 e nel 2004-2008 hanno confermato quanto testimoniato nelle fonti: sono stati infatti rinvenuti resti di abitazioni e strutture databili tra il VI e la fine del II secolo a. C.
La pianta del Foro
Dopo aver demolito gli edifici espropriati e livellato il terreno, fu finalmente avviata la costruzione del complesso. Fu così realizzata un’immensa piazza a pianta rettangolare di 100 x 50 metri circa, pavimentata con lastre in travertino, con portici colonnati su tre lati e un tempio sul fondo. I portici erano a due piani e a due navate, divise queste ultime da una fila interna di colonne; quelli sui lati lunghi terminavano ai lati del tempio con absidi semicircolari.
Il Tempio di Venere Genitrice
Il Tempio fu votato nel 48 a.C. alla vigilia della battaglia di Farsàlo contro Pompeo e fu dedicato a Venere Genitrice. La statua di culto, raffigurante Venere con un amorino sulla spalla e un altro tenuto per mano, fu commissionata da Cesare stesso allo scultore greco Archesilao. La dea, infatti, era considerata la mitica progenitrice della Gens Iulia, originata da Iulo Ascanio, figlio di Enea, a sua volta figlio del troiano Anchise e, appunto, di Venere. Con l’inserimento del Tempio di Venere, Cesare conferì alla piazza, destinata a funzioni giudiziarie e amministrative, anche la funzione di recinto sacro del Tempio, che esaltava le origini divine sue e della sua famiglia.
L’inaugurazione del Foro e la nascita di un nuovo modello architettonico
Il complesso cesariano fu inaugurato il 26 settembre del 46 a.C. Caratterizzato da una totale assialità, da un’immensa piazza circondata da colonne e dall’incombente presenza del Tempio, esso costituì un nuovo e originale modello architettonico, dalle funzioni civili e allo stesso tempo religiose e di celebrazione del personaggio che lo aveva fatto realizzare: nasce il primo dei Fori Imperiali.
L’Equus Caesaris
Al centro della piazza del Foro era posta la statua equestre di Giulio Cesare, citata dagli autori antichi con il nome di Equus Caesaris (letteralmente: “il Cavallo di Cesare”) e che purtroppo non è giunta fino a noi. Sembra che essa fosse un originale greco in bronzo, realizzato dal celebre artista Lisippo e raffigurante Alessandro Magno a cavallo del suo Bucefalo. Secondo quello che ci racconta il poeta Stazio (40-96 d.C.), per trasformare la statua fu sufficiente sostituire il ritratto di Alessandro con quello di Cesare, che in questo modo non solo eternava la propria persona attraverso l’opera d’arte di un famosissimo scultore greco ma anche, e soprattutto, istituiva un evidente parallelo tra se stesso e Alessandro Magno, modello inarrivabile di conquistatore e monarca.
Il Foro di Cesare come museo
Grazie alla testimonianza dello scrittore latino Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) sappiamo che nel Foro era esposta una straordinaria raccolta di opere d’arte, composta prevalentemente da dipinti dei migliori pittori greci, da numerose sculture, da ricche collezioni di gemme e da altri oggetti particolari, come una corazza di metallo prezioso ornata di perle provenienti dalle coste della Britannia. Anche in questo il Foro di Cesare funzionò da modello per i Fori successivi, che accoglieranno collezioni d’arte fruibili liberamente dal pubblico come in un museo moderno.
La morte di Cesare. I lavori di Augusto e la Curia Iulia
Al momento della morte di Cesare, assassinato il 15 marzo del 44 a.C., la costruzione del Foro non era ancora terminata, nonostante il complesso fosse stato inaugurato il 26 settembre del 46 a.C. I lavori furono ripresi nel 42 a.C. e furono portati a termine nel 29 a.C. dall’imperatore Augusto. In questa fase fu ampliata la superficie della piazza verso sud, con la costruzione di un nuovo portico colonnato. In asse con quest’ultimo fu eretta la nuova sede del Senato, ossia la Curia, detta “Iulia”. L’edificio sopravvive oggi nel rifacimento realizzato dall’imperatore Diocleziano dopo l’incendio del 283.
Le cosiddette tabernae
Poco dopo l’inaugurazione del 46 a.C., se non più tardi, fu costruita a ridosso del portico occidentale una fila di ambienti inseriti tra il retro del portico stesso da una parte e le pendici del Campidoglio dall’altra. Identificati tradizionalmente con delle tabernae, ossia botteghe, secondo gli studi più recenti questi ambienti sarebbero in realtà uffici pubblici legati al buon funzionamento del Foro.
La fase traianea del Tempio di Venere Genitrice
Importanti lavori si svolsero nel Foro di Cesare quando fu realizzato il vicino Foro di Traiano, inaugurato nel 112-113 d.C. Le pendici del Campidoglio, nelle quali era stata incassata la parte posteriore del Tempio di Venere Genitrice, furono abbattute insieme alla sella che univa Campidoglio e Quirinale per ricavare spazio per il nuovo Foro e, con l’occasione, il Tempio fu completamente ricostruito. A questa fase appartengono i resti attualmente visibili dell’edificio e i frammenti delle colonne rimontati nel 1933.
La Basilica Argentaria
Sempre alla fase traianea del Foro di Cesare risale la costruzione nell’area rimasta libera tra il Tempio di Venere e il Clivo Argentario (strada che costeggiava il Foro di Cesare dal lato verso il Campidoglio) di un portico alto due piani, a due navate separate da pilastri e coperte con volte a crociera. L’edificio, che le fonti del IV secolo chiamano “Basilica Argentaria“, ospitava in quel tempo gli argentarii, ossia i cambiavalute. Sull’intonaco che ricopre le sue pareti si trovano numerosissimi graffiti; la presenza di alcuni versi dell’Eneide ha fatto ipotizzare agli studiosi che l’edificio potesse essere stato utilizzato anche come scuola.
La latrina
E ancora alla fase traianea del Foro appartiene anche la grande latrina pubblica (in latino: forica) costruita al di sopra del porticato occidentale e delle tabernae. A pianta semicircolare, ad essa si accedeva dal Clivo Argentario. È probabile che esistesse una latrina identica sul lato opposto del Foro, i cui resti non sono però mai stati rinvenuti.
L’incendio del 283 e i nuovi restauri
Una profondo cambiamento dell’aspetto del Foro di Cesare si ebbe quando, a seguito del devastante incendio del 283 d.C., all’inizio del IV secolo gli imperatori Diocleziano prima e Massenzio poi vi posero mano per riparare i gravi danni. Come già accennato, la Curia fu completamente ricostruita nell’anno 303 secondo l’aspetto che tuttora conserva. Le colonne in marmo bianco dei portici sui lati lunghi della piazza furono sostituite con altre più piccole di marmi diversi, collocate su alte basi: sono quelle che ancora oggi si vedono, rimontate nel secolo scorso. Anche il Tempio di Venere Genitrice fu coinvolto nei restauri: qui fu costruito un muro a chiusura del colonnato sulla facciata, con un unico accesso centrale e arconi laterali di passaggio.
Il portico meridionale dopo l’incendio del 283 e l’Atrium Libertatis
Analoga sorte subì il portico sud del Foro, la cui fronte colonnata verso la piazza fu chiusa da un muro continuo. La fila di colonne interna del portico fu invece eliminata e il pavimento fu rifatto con lastre di granito grigio, pavonazzetto e marmo bianco. Fu così creata una vastissima sala avente la funzione di monumentale anticamera alla Curia. È probabile che in questo nuovo ambiente fosse collocato, almeno dall’inizio del V secolo se non prima, l’Atrium Libertatis, ossia l’archivio dei Censori: posto in antico sulle pendici del Campidoglio, dopo l’abbattimento di queste per la costruzione del Foro di Traiano era stato trasferito all’interno della Basilica Ulpia.