Dopo la costruzione del Foro della Pace (75 d.C.), tra questo e i Fori più antichi di Cesare (46 a.C.) e Augusto (2 a.C.) rimase uno spazio lungo e stretto delle dimensioni di 45×170 metri. Si trattava del tratto finale dell’Argiletum, antichissimo percorso che collegava il Foro Romano e il quartiere della Suburra (nell’area dell’attuale Rione Monti).
Le preesistenze e la Cloaca Maxima
La zona era occupata da edifici di carattere prevalentemente commerciale e dagli ingombranti perimetri delle due gigantesche absidi del lato meridionale del Foro di Augusto. Nel suo sottosuolo correva la Cloaca Maxima, monumentale condotto fognario che la tradizione faceva risalire all’epoca dei re, più esattamente al VI secolo a.C.: essa proveniva dalla Suburra, attraversava il Foro Romano e il Velabro e sboccava nel Tevere, subito a valle dell’Isola Tiberina.
Il vero fondatore del Foro di Nerva: Domiziano
Sulla base dei dati degli scavi recenti e delle notizie fornite dagli autori classici è possibile stabilire che la trasformazione di questo tratto dell’Argiletum in Foro avvenne ad opera dell’imperatore Domiziano (81-96 d.C.) e che forse già negli anni 85-86 il nuovo complesso doveva avere assunto una sua fisionomia ben precisa. Tuttavia Domiziano fu assassinato nel 96 e così non poté inaugurare il suo nuovo Foro, cosa che fu invece fatta nell’anno 97 dal suo successore, ossia Nerva (96-98 d.C.), a nome del quale il Foro è infatti tuttora conosciuto.
L’architettura del Foro
Fu dunque ricavata una piazza lunga 114 metri e larga solo 45. Le pareti perimetrali erano in blocchi di tufo. Al centro del lato corto orientale verso la Suburra fu inserito un tempio dedicato a Minerva, non a caso divinità tutelare di Domiziano. Lungo i lati maggiori fu invece realizzato un colonnato aggettante: lo spazio disponibile era, infatti, così esiguo da impedire la costruzione di normali portici, come negli altri Fori. Anzi: per poter disporre di spazio sufficiente fu necessario demolire l’emiciclo occidentale del Foro di Augusto. L’emiciclo orientale fu invece conservato e fu nascosto dal Tempio di Minerva, che gli venne addossato.
La Porticus Absidata
L’addossamento fra l’abside dell’emiciclo del Foro di Augusto e quella del Tempio di Minerva fu nascosto sul retro del Tempio stesso da una struttura a ferro di cavallo: la cosiddetta Porticus Absidata, che costituiva un grandioso portico di accesso per chi arrivava al Foro provenendo dalla Suburra. Dalla Porticus, di cui rimangono oggi pochi ruderi, si entrava nella piazza del Foro attraverso un arco monumentale, che a partire dal Medioevo fu chiamato ‘Arco di Noè’, probabile deformazione di Arcus Nervae, ossia: Arco di Nerva.
Il settore orientale del Foro: il podio del Tempio e una strada medievale
Del Foro di Nerva sono oggi visibili i due estremi settori orientale e occidentale, mentre la parte centrale della piazza giace ancora inesplorata sotto Via dei Fori Imperiali.
Il settore orientale fu scavato tra 1932 e 1942. Subito a ridosso di Via Alessandrina si vede ciò che resta del Tempio di Minerva: parte delle poderose fondazioni in calcestruzzo di selce e qualche filare del sovrastante podio in blocchi di tufo e travertino. A destra del podio è un tratto di strada, segnata da profondi solchi: si tratta della parte esterna della copertura in blocchi di tufo della Cloaca Maxima, sulla quale era qui appoggiato il pavimento antico del Foro. Nel Medioevo le lastre del pavimento furono asportate e le ruote dei carri che cominciarono a passare di qui incisero i blocchi di tufo, creando i solchi che si vedono ancora oggi.
Il muro perimetrale del Foro e le “Colonnacce”
La strada passava tra il Tempio (che fu demolito all’inizio del XVII secolo) e l’unico tratto superstite dell’antico muro perimetrale del Foro, costruito in blocchi di tufo. Ad esso si addossano, ancora intatte dopo più di diciannove secoli, due delle oltre cinquanta colonne aggettanti che decoravano i lati lunghi della piazza: le cosiddette “Colonnacce”, così chiamate per il loro stato di rudere. La trabeazione sovrapposta alle Colonnacce reca un fregio scolpito, che in origine si sviluppava per alcune centinaia di metri lungo l’intero perimetro del Foro. Ne restano oggi circa 25 metri, nei quali si distinguono sessantuno figure divise in otto scene, raffiguranti episodi mitologici incentrati sulla dea Minerva.
La storia di Aracne e la personificazione di un popolo sottomesso: i Pirusti?
In particolare, si riconosce in uno di questi la storia di Aracne, raccontata da Ovidio nelle Metamorfosi: la fanciulla aveva osato sfidare e vincere Minerva nell’arte della tessitura ed era stata per questo punita dalla dea con la trasformazione in ragno (aracne in greco antico). Al di sopra del fregio si conserva ancora un rilievo che mostra una figura femminile con elmo e scudo: interpretata da sempre come un’immagine di Minerva, essa è stata invece recentemente identificata con la personificazione dei Pirusti, antica popolazione della Penisola Balcanica assoggettata dai Romani. La scoperta di frammenti di almeno altre due figure simili (una è esposta nel Museo dei Fori Imperiali) ha fatto ipotizzare che l’attico del Foro fosse decorato con personificazioni dei popoli che componevano l’Impero Romano.
Il settore occidentale del Foro
Il settore occidentale del Foro di Nerva è stato scavato e riportato alla luce negli ultimi decenni del XX secolo. Non sono state rinvenute strutture in elevato appartenenti al Foro ma solo resti della pavimentazione a lastre marmoree, largamente rifatta all’inizio del V secolo. Di notevole importanza sono invece apparse le numerose strutture preesistenti rinvenute nel sottosuolo della piazza. La più notevole è stata identificata con la fondazione di un tempio di dimensioni simili a quello di Minerva, che però non fu mai completato, e se lo fu, crollò o fu demolito poco dopo la sua costruzione. Sembra che a seguito di tali difficoltà si decise di costruire un nuovo tempio sul lato opposto, dove fu poi effettivamente edificato il Tempio di Minerva.
Particolarmente interessante, infine, è la scoperta nello stesso settore del Foro di due residenze nobiliari datate al IX secolo d.C., testimonianza – al momento unica – dell’edilizia aristocratica della Roma altomedievale.